La nostra scuola ha una storia lunga ed interessante: studiarla significa ripercorrere tanti momenti della storia di Milano. E’ quello che ha fatto un nostro ex docente di Lettere, il prof. Pittini, in un volumetto edito in proprio: L’Istituto “N. Moreschi”. Pagine di storia.
Dal testo del prof. Pittini ricaviamo le note che seguono.
La nascita della scuola è collocata nel contesto del grande sviluppo dell’industria e del terziario (in particolare le banche e le assicurazioni), della crescita demografica e delle trasformazioni dell’assetto urbanistico che si verificarono a Milano negli ultimi decenni dell’Ottocento.
In questo quadro si avvertiva l’opportunità per la città di sviluppare, in termini quantitativi e qualitativi, la formazione di addetti al settore commerciale e amministrativo che fossero provvisti delle specifiche competenze e delle capacità pratiche rispondenti alle necessità del mondo del lavoro. A queste esigenze cercò di rispondere Nicola Moreschi, nel 1898 con la creazione di una Scuola tecnica d’indirizzo economico (corrispondeva alla fascia d’età della Media Unica di oggi) e nel 1901 con la costituzione di una Scuola superiore biennale per il commercio. L’iniziativa fu promossa dai soggetti attivi nel territorio (Camera di Commercio, Cassa di Risparmio, Associazione Industriali), che appoggiarono Moreschi con entusiasmo, e solo in seguito ebbe il riconoscimento Ministeriale. Con successive trasformazioni, il biennio divenne un Istituto quadriennale preceduto da un Corso preparatorio di altri quattro anni. Nel 1916 l’Istituto, classificato di terzo grado come gli Istituti tecnici, venne denominato Regio Istituto di Studi Commerciali; nel 1930, un anno dopo la morte del fondatore, fu dedicato a Nicola Moreschi.
Nel frattempo la normale vita scolastica era stata sconvolta e segnata dalla Grande Guerra, che vide l’Istituto versare un cospicuo contributo di sangue tra ex allievi ed allievi, anche giovanissimi, caduti sul fronte. Di questi dolorosi episodi si conserva memoria all’interno dell’Istituto, come testimoniano queste immagini.
Nel 1927 l’Istituto occupò la sede attuale, in un’area per secoli ai margini della città, all’esterno dei Bastioni spagnoli. Ai tempi della peste vi era stato allestito un lazzaretto, di cui è testimonianza la cappelletta (del 1640). In seguito vi fu collocato un grande cimitero. Dagli ultimi decenni di fine Ottocento il quartiere si trasformò profondamente: prima furono costruiti il Macello e il Foro Boario, poi il carcere di S.Vittore (1879). In seguito al Piano regolatore del Beruto (approvato definitivamente nel 1889), si cominciarono ad abbattere i Bastioni, si tracciarono le linee dei nuovi quartieri residenziali esterni, si costruirono nuovi edifici lungo l’asse stradale in direzione di Magenta e Novara. Sul terreno (prima occupato dai Bastioni) tra le attuali Piazza Aquileja e Via Biffi, il Comune cominciò nel 1912 a erigere una grande costruzione; sospesi durante la Guerra, i lavori vennero poi ripresi e terminarono nel 1924. L’intento era quello di assicurare una sede a Rettorato, uffici, Facoltà di Lettere e Giurisprudenza della Regia Università; questa in realtà solo dal 1924 al 1926 utilizzò l’edificio, poi occupato dal Regio Istituto diretto da Moreschi.
A realizzare l’ obiettivo di una nuova sede più spaziosa e adeguata, già accarezzato da Moreschi, fu il nuovo direttore Arturo Loria, che guidò l’Istituto dal 1923 al 1938. Assai attivo e dedito al suo ruolo, Loria riuscì a superare vari ostacoli e ad ottenere in occasione del trasferimento numerosi contributi straordinari; grazie ad essi il “Moreschi” fu dotato di numerose aule speciali e di preziose attrezzature. I documenti e i registri dell’epoca dimostrano il rigore dell’Istituto sul piano disciplinare e didattico, fatto che gli assicurò a buon diritto la reputazione di scuola seria ed esigente, che assicurava una valida preparazione. Alcuni documenti dell’epoca, conservati nell’archivio, confermano anche la costante attenzione del regime fascista per la scuola, vista come uno strumento importantissimo per la propaganda e come fucina dei “nuovi italiani”.
Anche il “Moreschi” nel 1938 fu coinvolto dalla immediata applicazione al sistema scolastico delle Leggi razziali antisemite. I drastici provvedimenti discriminatori del regime, che avrebbero trovato un’applicazione sempre più ramificata e puntigliosa negli anni seguenti, comportarono l’espulsione immediata dalle scuole di ogni ordine e grado di docenti, presidi, impiegati, bidelli ebrei fin dall’inizio dell’anno scolastico 1938/39; agli studenti fu impedita l’iscrizione e quindi la frequenza nelle scuole pubbliche e fu consentita la prosecuzione degli studi esclusivamente nelle scuole ebraiche. All’Istituto di Via S. Michele del Carso furono colpiti dalle Leggi razziali il Preside Loria, il Prof. Levi (studioso e poliglotta autore di numerose opere) e la Prof.ssa Della Pergola; questi docenti in seguito insegnarono nella scuola superiore ebraica fondata nel novembre 1938 in Via Eupili. Loria, che tanto si era prodigato per il “Moreschi”, non resse al trauma della cacciata dal suo istituto e morì l’anno successivo. Dalla scuola furono espulsi inoltre vari studenti; in base alle ricerche effettuate, risulta che sicuramente a nove studenti e ad una studentessa già frequentanti non fu consentita l’iscrizione per l’a.s. 1938/39. Uno di questi studenti, Giorgio Latis, fu in seguito protagonista di drammatiche vicende di cui si tratta in un capitolo successivo.
Anche il “Moreschi”, sia inteso come edificio che nel senso di comunità di studenti, professori, tecnici, impiegati e bidelli, subì le conseguenze della seconda guerra mondiale. Ben presto la vita quotidiana di tutti fu segnata da una serie di crescenti disagi, dalle restrizioni alimentari legate all’introduzione della tessera annonaria ( dal marzo ’42 anche i ragazzi in crescita dovettero accontentarsi di 150 grammi di pane al giorno, di cui il 25% di farina di mais) ai limiti assai severi delle ore di riscaldamento consentite. I pesanti e ricorrenti bombardamenti su Milano provocarono in alcuni casi danni collaterali all’Istituto, pur non colpito direttamente (ad es. nell’ottobre ‘42, per alcune settimane, i vetri delle finestre andati in pezzi furono sostituiti dalla carta); la conseguenza più seria però fu il massiccio fenomeno dello sfollamento, che coinvolse tutto il personale e molti studenti. Alcuni allievi, anzi, per ridurre i rischi si trasferirono stabilmente altrove e il numero dei frequentanti subì un calo consistente. Nei sotterranei dell’Istituto fu allestito un rifugio antiaereo, che fu utilizzato dagli abitanti della zona; sui muri sono ancora leggibili le scritte dell’epoca. L’archivio della scuola, per cautelarsi dai rischi di incendio, fu trasferito a Stradella. Un altro problema era costituito dal continuo aumento dei prezzi (che continuarono a galoppare anche dopo la fine della guerra), col conseguente aggravio dei costi del materiale di cancelleria ecc. Dopo l’8 settembre ’43 e la costituzione della R.S.I., parte dell’Istituto fu requisita dal Ministero delle finanze repubblichino; molti strumenti di grande valore furono nascosti per evitare furti o requisizioni, mentre i mobili degli spazi sgombrati vennero accatastati nelle palestre. In seguito però anche le palestre vennero requisite, e si dovette trasportare tutto negli umidi scantinati. L’Istituto dovette poi aiutare, concedendo l’esenzione dalle tasse scolastiche o erogando dei sussidi, gli studenti sinistrati, profughi, figli di prigionieri di guerra o di mutilati. Ancora dopo la fine della guerra c’erano studenti che aspettavano il ritorno del padre dai campi di prigionia. Nonostante tutte le difficoltà, comunque, il “Moreschi” non chiuse mai i battenti ma continuò ad offrire il suo servizio ai milanesi.
Uno degli studenti ebrei a cui dal settembre 1938 fu impedito di frequentare il “Moreschi” (gli mancava l’ultimo anno) si chiamava Giorgio Latis. Era uno studente dalla intelligenza vivace; incostante nello studio, era tuttavia dotato di notevoli capacità di recupero e capace di esiti brillanti nelle materie che più gli interessavano, aiutato in questo dalla sua curiosità culturale e dal fatto di essere un lettore assiduo. Tra i suoi amici figurano Vittorio Sereni e Giorgio Strehler, poi destinati a un ruolo culturale di grande rilievo. Terminati gli studi privatamente, riuscì a lavorare fino al settembre ’43 (nonostante le restrizioni sempre più rigide che colpivano gli ebrei) e nel frattempo allestì con i cugini degli spettacoli “colti” di marionette, che venivano rappresentati nei salotti milanesi (ad es. testi di Lorca e Cocteau o una sua riduzione teatrale del “Racconto di Natale” di Dickens). Nel novembre 1943 accompagnò i genitori e la sorella nell’espatrio clandestino in Svizzera, e tornò indietro credendoli al sicuro; invece i gendarmi svizzeri respinsero i Latis, che alla frontiera italiana furono arrestati dalle S.S. Dopo un paio di mesi di detenzione a S.Vittore furono spediti ad Auschwitz con uno dei “treni della morte” nazisti; i genitori all’arrivo furono subito destinati alle camere a gas, mentre la sorella di Latis sopravvisse fino all’agosto ’44.
Giorgio anziché pensare a salvarsi entrò nella Resistenza; arrestato e detenuto a S.Vittore, riuscì a fuggire. Aderì al Partito d’Azione e fu inviato in Piemonte, dove fu protagonista di imprese coraggiose, collaborando con i più noti esponenti delle diverse componenti della Resistenza. La lotta clandestina non spense i suoi interessi culturali e la sua vena creativa, come testimoniano numerosi abbozzi di racconti e un dialogo cui lavorò fino alle ultime settimane di guerra. Il 26 aprile 1945, ultimo giorno di scontri a Torino tra partigiani e nazifascisti, Giorgio Latis nel corso di una missione fu fermato alle porte della città e immediatamente fucilato. Nel 1996 gli fu attribuita la medaglia d’argento alla memoria.
Dopo la guerra cominciò per l’Italia, tra speranze, tensioni e fatiche, il periodo della difficile ricostruzione del paese. Anche per il “Moreschi” il ritorno alla normalità si presentava come un’impresa ardua: con mezzi finanziari sempre insufficienti a fronteggiare l’inflazione occorreva riparare i danni e ricostituire l’indispensabile patrimonio di suppellettili, libri, strumenti, dotazioni didattiche della scuola, ricollocandoli nei locali di nuovo interamente a disposizione dopo requisizioni e coabitazioni forzate. Il Preside D’Amia tempestava con le sue richieste Ministero ed Enti finanziatori (la Cassa di Risparmio e la Camera di Commercio), spalleggiato dal nuovo CdA che era presieduto dall’industriale Enrico Falck e di cui faceva parte anche un altro imprenditore di rilievo, Senatore Borletti. Nel clima teso del dopoguerra potevano verificarsi episodi come quello dell’aprile 1946: la grande rivolta dei detenuti di S.Vittore, che costò tre morti e un centinaio di feriti; per domare i carcerati ribelli furono impiegati numerosi reparti dell’Esercito dotati di mortai, autoblindo, mitragliatrici. L’Istituto, collocato sulla prima linea di fuoco, restò chiuso per tre giorni.
Finalmente nel dicembre 1948, con una cerimonia alla presenza delle autorità, il Preside potè dichiarare la sua soddisfazione: il “Moreschi” era ormai perfettamente funzionante, con un corpo docente stabile e tutte le attrezzature ricostituite.
Negli anni successivi il “Moreschi” continuò il suo cammino, riflettendo le trasformazioni proprie della scuola italiana in un periodo di grandi cambiamenti, a volte turbinosi e negli ultimi anni alquanto accelerati. Gli anni della scolarizzazione di massa portarono ad un consistente aumento degli allievi ( ben 1394 nell’anno scolastico 1976/77, con una media di 27,88 studenti per classe). La contestazione studentesca si manifestò in quegli anni anche nell’Istituto, che tuttavia in seguito riuscì a riapprodare, col procedere degli anni ’80, alla tradizionale atmosfera di serietà e rigore. Molti sono stati i cambiamenti dal punto di vista degli indirizzi introdotti e dell’ordinamento degli studi, comprese le prove finali dell’ultimo anno, molte anche le iniziative varate in questi anni sul piano didattico e culturale. Il “Moreschi”, che ha celebrato nel 1998 il centenario della fondazione, deve ora affrontare le sfide di un mondo del lavoro molto mutato, in cui sono assolutamente necessarie sia la competenza che la duttilità. Non resta quindi che augurare a tutti coloro che operano e studiano al “Moreschi” la stessa tenacia e lungimiranza che hanno consentito ai loro predecessori di ottenere risultati di rilievo nella realtà milanese.